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IL GRANDE PROTAGONISTA DELLE COMPARSATE

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SUL VIVERE DESCRIVENDO BESTIACCE SCHIFOSE

Diario di Helmut Grothe entomologo

18 giugno 1875

Mi trovo di nuovo nella mia dimora estiva di Belleville sur le Marne. Non so mai come ci arrivo d’estate: verso febbraio qualcuno mi lega nottetempo ad una sedia e dopo alcuni mesi vengo trasportato qui a viva forza. Devo fare buon viso a cattivo gioco così non perdo occasione per qualche interessante osservazione. Trascorro lieto i pomeriggi nella campagna circostante la casa, completamente nudo, evitando in tal modo che mia moglie mi chiami in cucina a lavare i piatti. La popolazione di insetti degli stagni è numerosissima e misteriosamente attratta dal mio corpo nudo. Avere intorno ogni sorta di bacarozzi mi consente sia di portare avanti le mie ricerche che di non dormire di notte. Inizio una serie sistematica di osservazioni sulla zanzara anofele. Ho notato che difficilmente resiste alla pressione della mano aperta lanciata a forte velocità quando rimane immobile. Tuttavia difficilmente ciò accade: questo insetto demoniaco sembra avere una misteriosa capacità di bilocazione e quando la mano si avvicina a lei essa è altrove. Mia moglie, quella disgraziata sempre pronta a intromettersi nelle mie ricerche, insiste a sostenere che la zanzara in questo caso particolarissimo “vola via”. Ma benché questa possa anche funzionare come spiegazione credo che sia una fesseria enorme. Mia moglie è una cretina e io la odio: anche i lattanti infatti sanno perfettamente che nessun insetto “vola”. Ogni commento è superfluo: io so per certo che prima o poi scoprirò quale misteriosa forza consenta alle zanzare di attraversare i palmi delle mani aperte. Il genio patisce sempre le incomprensioni della gente.


20 giugno 1875

Notevolissima cosa! Credo di avere tra le mani una scoperta nuova e mirabile. Mi trovavo in riva allo stagno, taccuino alla mano, nell'intento di proseguire le osservazioni sulle zanzare dopo aver gettato sulle acque benzina a cui avevo dato fuoco, quand'ecco che scorgo un non so che di curioso impigliato tra i ciuffi di sterpaglia. Mi sono chinato con dovizia e cautela a raccoglierlo. Completamente dimentico del fuoco che avevo creato sullo stagno mi sono trasformato in breve in una fumante torcia umana. Ma non ho voluto dare soddisfazione a mia moglie che, imprecando, mi invitava ad entrare in casa per spegnere i vestiti sotto la doccia. Dopo molte ore ho osservato l’oggetto raccolto: trattasi di un bozzolo in odor di schiusa. Non sono affatto riuscito a classificarlo, nonostante abbia consultato ogni volume della mia biblioteca. Per ore ho continuato a bestemmiare e imprecare fortemente per via di questo fatto, lanciando il prezioso bozzolo in ogni angolo della stanza e infine in capo a mia moglie, che mi ha restituito poderosi calci. Ho risoluto di tenerlo con me, comunque. Se la fortuna sarà benigna assisterò forse all'esordio alla luce di qualche crisalide ignota. Il bozzolo è a forma di palla, piccolo non più di un pollice, rotondetto, di pelle grinzosissima assai e seccamente indurita. Il colore è verdastro con piccoli aculei Lo giudico schifosissimo, repellente e odioso ma, dacché è prossimo alla schiusa, non lo perderò di vista neanche un istante.


21 giugno 1875

L'inaspettata scoperta del bozzolo mi ha messo in grande agitazione. Ho confezionato un piccolo lacciuolo di stoffa per poter portare il delicato animaletto sotto la mia ascella notte e giorno, insieme ad alcuni pesci e a fette di cipolla. Credo infatti che la temperatura dell'umano calore, benigna e costante, possa facilitare la schiusa. Grazie al pesce e alla cipolla l’animale avrà subito nutrimento. Non vedo l'ora. 

p.s. Mia moglie seguita a colpirmi con un mestolo mentre si copre il volto con un fazzoletto. Strana donna.


22 giugno 1875

Quanta pazienza occorre di fronte agli increduli!

Mia moglie, dopo avermi versato dell’olio bollente di soppiatto nella nuca, ha insistito a che mi levassi la fascia di sotto l'ascella e le mostrassi il bozzolo. Vistolo, sostenne che non era affatto un bozzolo bensì una volgare castagna di ippocastano. Ho dovuto controllare a stento i miei nervi a quella sua guasconata: le sono saltato al collo e ho avuto un bel da fare a indicarle la profonda differenza di colore e di forma tra il mio bozzolo e una castagna. Ma la discussione scientifica con le donne è impossibile: siamo finiti come al solito a romperci arredamenti in testa. È una formidabile cretina e ancora adesso non riesco a capacitarmi del fatto che sia la presidentessa della società Entomologica svizzera. Mi umilia. Ma io son nel giusto: il mio occhio d'entomologo è più scaltro ed allenato a certe sottigliezze. Disprezzo la semplicità delle donne con due o tre lauree e cattedre alla Sorbona che credono di saper tutto e sono sorde al sussurro della natura. Tuttavia tutto questo mi porta a riflettere: avrei dovuto sposare quella lattaia grassa che mi aveva presentato mia madre.



24 giugno 1875

La cova procede in maniera soddisfacente benché mia moglie rida di gusto vedendomi andare a letto con quella che lei crede una castagna sotto l'ascella. Anche il nostro massaro ha voluto vedere la crisalide e mi ha condotto con gioioso trasporto nell’osteria del paese. Lì mi sono denudato davanti a un centinaio di persone e ho mostrato a tutti il bozzolo. Grandissimo entusiasmo. Risate a gola piena. Poi gragnuola di gusci di arachide e una secchiata gelata. Non posso biasimarlo: è il volgo. Che volete che ne possa capire?



30 giugno 1875

Sono preoccupato. Il bozzolo, conservato a temperatura costante, non accenna a schiudersi. I pesci e le cipolle, in compenso, hanno dato segni di vita e se ne sono andati nottetempo. Forse trasportati dalla eccezionale quantità di vermi che li popolavano. Non potendo aspettare ancora oltre la naturale schiusa ho risolto di indossare una zimarra di lana per aumentare la temperatura di cova. Sudo abbondantemente e compenso l’eccesso di liquidi conservando sotto la zimarra altri pesci e altre cipolle. Mia moglie ed il massaro ormai vivono a decine di chilometri dalla mia abitazione. Temo abbiamo una relazione: non smettono di ridere un attimo quando mi vedono. La cosa mi secca moltissimo.


6 luglio 1875

Le cose non volgono bene. Non sopportando più la tortura di portare la zimarra ho deciso di darmi nuovamente fuoco per aumentare la temperatura di cova. È un atto estremo ma necessario nel nome della scienza. Gli altri non capiscono: mia moglie e il massaro si sono procurati sedie di paglia e attendono con ansia il momento in cui mi darò fuoco, sgranocchiando lenticchie secche. Tuttavia son pessimista. Non sarebbe strano se avessi raccolto il bozzolo troppo tardi e l'animale fosse già morto da tempo. Se la schiusa tarda oltre mi risolverò ad aprire la scorza con una lancetta, per esaminare, in mancanza di meglio, i resti di questo affascinante insetto sconosciuto. 


10 luglio 1875

Mi sono dato fuoco. Esito imprevedibile. Le sedie di paglia hanno preso fuoco prima di me: mia moglie ed il massaro sono evaporati urlando in un rogo dantesco. Nell’eccitazione il bozzolo mi è rotolato via dall’ascella e sono corso a cercarlo nei cespugli, lasciando mia moglie alle sue faccende piriche.


11 luglio 1875

Aperto bozzolo. Era una castagna. Ho passato tutta la giornata in osteria a bere. Sconforto profondissimo. Appena le forze me lo concederanno e i fumi dell'alcool saranno passati scriverò a mio cugino che preghi il direttore della banca di ridarmi il mio vecchio impiego come cassiere. Al diavolo l’entomologia. Lascerò libero quello scarafaggio di tre metri che ho rinchiuso in cantina e ciò che sarà sarà.


Come Grothe diventò entomologo

Nell’estate del 1875, circa vent’anni prima della sua nascita, Helmut Groethe si decise al grande passo ed intraprese l’attività di scienziato entomologo. «Così per lo meno diventerò ricco a spese di quelle bestiacce schifose che mi invadono la casa » disse con orgoglio quando gli venne conferita la laurea in entomologia.

Il suo modello e la sua fonte di ispirazione fu, a lungo, il grande Jean Henri Fabre Che, per avventura, abitava proprio dirimpetto alla sontuosa villa del Grothe,  Egli per un certo periodo amò definirlo rispettosamente «q uel maledetto bastardo del mio vicino, faccia di cane e cervello di gallina a cui un giorno o l’altro caverò gli occhi con un cucchiaio » contentandosi di ammirarne in disparte gli studi. Fu solo dopo diversi anni che osò definirsi degno allievo del Fabre nonché «il tizio che ha fregato in consiglio comunale un ettaro di terra a quel pollo».

Tuttavia il Grothe faticò ad affermarsi nella comunità scientifica, anche e soprattutto per il suo modo anticonformista di intendere la raccolta entomologica.

Si aggirava per i campi con un enorme retino in cerca di insetti. Quando ne trovava uno, anche a metri e metri di distanza, perdeva completamente le staffe gridando a gran voce «schifosa bestiaccia, schifosa» e agitando il retino. Se l’insetto non aveva l’accortezza di scansare l’attrezzo di raccolta, il Grothe infieriva su di lui con pesanti scarponi, raddoppiando la ferocia ed il panico ad ogni colpo.

Solo quando ormai l’insetto era ridotto in una poltiglia informe ed appiccicosa il Grothe dava segni di aver ritrovato la lucidità: avvicinandosi studiava scientificamente l’ammasso informe con una grossa lente e prorompeva in smorfie di sgomento, eccitazione, ammirazione e stupore, accompagnando ogni ruga del volto con gridolini inesprimibili e gorgogliii orgiastici.

Dopodiché raccoglieva l’insetto poltigliato in un fazzoletto ricamato e lo portava, con precisione maniacale, alla facoltà di entomologia dell’università di Amburgo, direttamente nelle mani dell’esimio professor Anton Hunnerghuttersthufe.

Il quale, ricevendo il prezioso involucro, lo spiaccicava con forza sulla giacca del Grothe proferendo bestemmie talmente indescrivibili da aver suscitato ricerche teologiche peculiari ed esclusive a supporto. E se ne andava.

Così il Grothe felicemente tornava ai suoi studi e alle sue ricerche, fieramente gonfiandosi il petto sotto la giacca imbrattata e fraternamente distribuendo pacche sulle spalle ad ignari passanti.

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